Sono riuscito a ritagliarmi solo un paio d’ore per dare un’occhiata al gioco di scimmie che picchiano gente in testa con lunghe aste in Black Myth: Wukong finora, ma è stato abbastanza per farmi prendere l’equivalente di una cotta giovanile per quanto sia costantemente originale e creativo. Mi piace così tanto che vorrei averlo incontrato senza averne letto nulla prima.
Le recenti restrizioni inviate agli streamer sono bizzarre e odiose per molti motivi. Ora sembra stantio, quasi un cliché, sottolineare che il tentativo di silenziare la discussione politica è un atto molto più apertamente politico di qualsiasi cosa uno streamer potesse dire, ma le restrizioni sono state una mossa di comunicazione così spudoratamente amatoriale che il cliché sembra appropriato (o semplicemente il frutto di una ingenuità figlia del culture divide che rende così difficile per qualcuno capire il successo del gioco in madre patria).

Anche il veleno online lanciato contro la stampa che ha trattato le restrizioni è rivelatore. L’ho visto succedere in alcuni casi. “Lo studio di Black Myth: Wukong chiede agli influencer di non includere propaganda femminista o riferimenti al Covid-19 nella copertura” si legge in un titolo di Eurogamer.
“Bene”, “Basato” si legge in abbastanza risposte su Twitter da dimostrare che, per molti di questi poveretti, la “libertà di parola” non è mai stata il problema. Anzi, il contrario. Si è sempre trattato di attuare un effetto deterrente su quale tipo di conversazione o discorso dovrebbe essere consentito e chi dovrebbe sentirsi a proprio agio nell’esprimere la propria voce.
Ora io vorrei chiedere a un esperto che tipo di assistenza medica è richiesta per qualcuno commenta “Basato” e si crede anche un figo. Ma non è quello il punto.
Perché uno degli elementi più sconcertanti sia delle restrizioni che del loro supporto dal basso è il torto che fanno al chiaro amore riversato in Black Myth dai suoi dev, che è chiaramente un prodotto realizzato con passione e mestiere, anche se tecnicamente con qualche ingenuità tipica di gente che viene dal mobile gaming. Il successo del gioco è utilizzato come un bastone per la guerra culturale, e sembra una sanguisuga: drena l’immaginazione piena di sangue del gioco e brandisce il guscio secco e grigio rimanente per scopi più sporchi che non hanno nulla a che fare con il godersi veramente la cosa. È una contraddizione. Certamente, se ami veramente un’opera, questo tipo di strumentalizzazione dovrebbe farti orrore. È il contrario di apprezzare qualcosa. È toglierle valore e trasformarla in uno strumento di offesa volgare e rozzo.

Questa non è l’unica cosa che ho notato nelle prime ore. Ho già visto Black Myth paragonato a God Of War diverse volte (è ovviamente più un action rpg che un soulslike). Da un po’ di tempo ormai penso che, quando le persone chiamano i recenti giochi di GOW “capolavori”, quello che stanno lodando più di ogni altra cosa è il lavoro di animazione. È così vivido e stratificato che conferisce ai personaggi di quei giochi una presenza cinematografica che è difficile ignorare, come abbiamo visto anche in The Last of Us. Black Myth non è così rifinito, ma ogni persona che incontri ha un livello simile di elemento teatrale nel design e nei movimenti. Non ho dubbi che la fluidità visiva del combattimento e i riferimenti a iconografie tipiche di un certo genere di media tradizionali abbiano contribuito a catturare così tante persone in madrepatria, ma è il design delle creature selvaggiamente immaginifico e radicato nella cultura cinese e nel wuxia che gli conferisce uno scopo, minaccioso e tremendamente dinamico allo stesso tempo, e non c’è bisogno che siate fan di La tigre e il Dragone o Hero (tipo me) per apprezzarlo.
Mi costringo a immaginare, per la mia sanità mentale, che pochissime persone stiano effettivamente giocando a Wukong per dire ogni volta che accade qualcosa di figo, “I woke devono assolutamente odiare quanto è figo tutto questo” invece di “Che figo!” oppure “Beccati questo Sweet Baby inc” invece di sussurrare “WOW” di fronte a un boss torreggiante.

L’idea sorprendentemente facile da incontrare poi, in certe frange di Twitter almeno (e dove sennò), che il rapporto di IGN (che vale la pena leggere) su “uno studio afflitto da accuse di sessismo” in qualche modo indicasse una cospirazione mediatica a livello internazionale per distruggere il gioco su tutti i fronti, non è solo ridicola, ma è facilmente smentita semplicemente guardando dieci secondi di punteggi persino da parte di quelli che hanno fatto notare che sì, il gioco è un gioco mirato all’audience cinese, che sarà anche prevalentemente maschile e conservatrice e sì, in Game Science potrebbe essere pieno di stronzi misogini, ma il gioco è comunque un ottimo prodotto, forse anche materiale da GOTY come abbiamo detto noi stessi.
Semplicemente il giornalismo fa quello che deve, e ci sono abbastanza fonti indipendenti tra loro a occuparsi degli stessi argomenti per considerare le conclusioni sufficientemente attendibili. Scavare in quello che succede in uno studio dev è un dovere anche quando lavorano più o meno bene, lo si è fatto quando sono stati i colossi di Blizzard a farla fuori dal vaso, peggio di Game Science, e lo si fa anche quando riguarda gli emergenti di un mercato emergente (i tripla A cinesi non sono proprio una prassi), specie quando le dichiarazioni dei responsabili sono intrinsecamente mediatiche (e non solo i divieti ai creator), in uno scenario che è ormai spiccatamente politicizzato che lo si voglia o no (il gioco ha avuto molto più hype in madre patria che fuori – in un paese che notoriamente non ama il gaming – e Game Science ha ricevuto contributi dalla città di Hangzhou dove ha sede, cosa più unica che rara da quelle parti).
E nonostante questo non c’è stata traccia di alcuna campagna di boicottaggio contro Black Myth: Wukong, contrariamente a quanto hanno messo in giro i soliti grifter tipo Mark Kern e altri falliti che devono pure campare in qualche modo dopo aver mandato a mare qualunque progetto reale nelle loro esistenze. Non siamo neanche lontanamente dalle parti di Hogwarts Legacy, dove la cosa era non solo reale ma sacrosanta, considerato che le vendite di quel gioco portano attivamente soldi in tasca a una che ha dedicato tutta la seconda metà della sua carriera a lavorare per togliere diritti a specifiche minoranze (ah, non voler far fare soldi a qualcuno è molto diverso dal toglierli il diritto di parola, lo so che qualche genio sarà convinto del contrario).

Ed è anche vero che ogni volta in cui sentite di parlare di censura woke tendenzialmente state ascoltando qualcosa di più o meno completamente inventato da qualche youtuber redpill che deve triggerare i suoi follower per fare abbastanza engagement da pagare l’affitto del sottoscala in cui vive, tipo quella volta con free stellar blade (i casi opposti sembrano invece essere una prassi consolidata, e non fatemi iniziare a parlare di liste di proscrizione).
Ma nel caso specifico proprio nessuno ha lavorato togliere successo a Black Myth: Wukong, nessuno ha aperto una petizione su Change.org e nessuno ha fallito nel bloccare l’avanzata record di un gioco costruito benissimo per funzionare su una specifica (e piuttosto vasta) audience, nessuno si è incazzato per le 10 milioni di copie vendute in 4 giorni. È un gioco da 7-8, tutti ne hanno parlato per quello che è e ci siamo anche abbastanza divertiti a provarlo. Compresa l’unica giornalista – unica – che si è lamentata della lack of diversity (su Screen Rant), dando comunque al gioco un voto nel range di tutti gli altri (ma cu sui ovviamente tutti i vari spazzini dell’indignazione, specie su youtube, si sono avventati con le loro espressioni costipate molto italiane).
Poi, hey, se vogliamo giocare tutti allo stesso gioco (punt intended), perché alla fine i seguaci di gente come Grummz o Asmogold amano parlare tanto di facts, e dobbiamo guardare i numeri: dei 16 milioni di copie vendute l’80% è cinese, il 90% delle recensioni positive su Steam è cinese, c’è stato un record di accessi, indovinate un po’, dalla Cina, ha fatto schizzare le vendite di PS5 in Cina. Negli USA lo stanno giocando più o meno 3% degli utenti complessivi, su SteamDB i picchi di giocatori sono letteralmente sincronizzati con gli orari diurni cinesi e nei giorni successivi, nonostante tutto l’hype e il grifting generato da certa gente per raccattare engagement, i numeri sono rimasti identici. Ed è una cosa bellissima che un paese veda il successo di un prodotto ludico ispirato a uno dei capolavori della propria letteratura. Ma probabilmente questo vuol dire anche che forse in occidente ‘sto Wukong sta facendo impazzire tanti ma non proprio tutti. E i vari fake gamers invece di stare col joypad in mano a tirare colpi di mazza in testa ai quasi 100 boss erano a fare review bombing a Concord o Dustborn senza neanche averli giocati.
Venire a raccontare che si tratta di una vittoria globale contro la wokeness è una appropriazione che a qualunque cinese farebbe abbastanza ribrezzo, specie quando il successo reale è in un paese dove quel termine neanche esiste. Crederci è un po’ troppo da fessi anche per chi crede che Sweet Baby Inc sia qualcosa di diverso da un modo in cui dei copywriter hanno trovato di entrae nel giro dell’equity. Specie quando un numero tra il 40 e il 70% dei 15 milioni di giocatori del gioco più woke mai concepito era ed è invece ben radicato nel pubblico USA/EU (sto parlando di Baludr’s Gate 3, per la cronaca, era l’altro ieri, era un indie in cui non voleva investire nessuno, aveva zero hype nel mercato mainstream e apparteneva a un genere, il crpg, considerato morto).
La guerra culturale di questa gente, laddove credono venga combattuta, vale meno di Dave The Diver??
Ora, io lo capisco che qui parliamo della stessa gente convinta Stellar Blade abbia conquistato il mondo (un milione di copie sono un risultato solido ma tipo persino indie come Core Keeper o Moonlighter hanno venduto il doppio) o che sia un successone quella presa in giro di The First Descendant (live service free to play che dopo neanche due mesi dal lancio non è neanche nella top 30 di SteamDB), e mi dispiace un sacco perché sono perlopiù ragazzi che stanno attraversando adolescenza o post – tipo il periodo più merdoso dell’esistenza umana – e si ritrovano con le loro insicurezze strumentalizzate da gentaglia incanutita che gli riempie la testa di fesserie prese dai podcast di Joe Rogan o Andrew Tate, ma non si vincono neanche le elezioni in Burkina Faso con quei numeri. Statece.
Stiamo parlando di un fenomeno culturale principalmente locale. Ed è bellissimo per tutti, per loro che celebrano un capolavoro della tradizione cinese e per noi che vediamo visibilità verso qualcosa di poco fruito in occiedente. Chi parla di vittoria contro il politicamente corretto non sa neanche di cosa parli Journey To the West e cosa rappresenti per quella nazione. Come non sa una tonnellata di altre cose.
Yep, that’s another thing that’s annoying to see. Right wingers that are extremely misogynistic talking about the game being non-woke / non-DEI, or whatever, as a reason for its success.
That’s not the reason it’s selling well. It’s also a diverse game.https://t.co/WRcAA4D9X6
— Daniel Ahmad (@ZhugeEX) August 23, 2024
Paradossalmente, in tutta probabilità, la maggior parte della gente che si sta divertendo a piroettare in mezzo al fogliame in questo momento non ha alcun interesse per queste fregnacce, e di sicuro non stanno a lamentarsi delle donne non abbastanza sexy nei twitch stream invece che giocare a ciò che dicono di amare.
Neanche un mese fa stavo cercando di capire un tizio su TikTok che affermava come il cambio di nome del nuovo Dragon Age da Dreadwolf a The Veilguard fosse dovuto al fatto che – I shit you not – la game director fosse una donna transgender. Sono andato avanti una mezzora cercando di farmi spiegare come funzionasse il suo ragionamento, come le due cose potessero essere collegate, e ho ricevuto in risposta perlopiù slogan o robe tipo “giocateci voi al gioco con gli arcobaleni”.
Ancora non ho capito che cazzo volesse dire e per la mia salute mentale (e due) forse spero di non scoprirlo mai, ma alla fine gli ho consigliato di provare a godersi la vita e di smetterla di sentirsi in guerra col mondo. Rimane il mio consiglio anche adesso per tutti, possibilmente ignorando chi punta il dito contro qualcosa indicandola come l’origine di tutti i vostri mali.
Ma soprattutto giocando, a titoli solidi anche se probabilmente non per voi come Black Myth: Wukong o a quel cavolo che vi pare, fregandosene dei parassiti tutto intorno, almeno finché un muro invisibile non vi avrà bloccati una volta di troppo.

Consulente di comunicazione, marketing automation, social media, SEO ed e-commerce. Ex-grafico, saltuariamente web designer, impaginatore, copertinista e addentrato quanto basta in tutto ciò che riguarda l’Internet. Appassionato di narrativa, arti visive e cinema di menare. Nerd. Gamer. Warrior Tank e raid leader a zero chill. Se non sapete riconoscere una void zone quando vi spawna sotto i piedi questo non è il posto per voi.
Vivo e lavoro come freelancer in provincia di Taranto.
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