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Gamergate, 11 anni dopo: l’odio non era un bug, era una feature del Sistema

Tempo di lettura: 9 minuti

Sono trascorsi dieci anni da quell’agosto 2014 che ha segnato a fuoco la storia recente dell’industria videoludica e, temo, della cultura digitale tutta. Quasi undici anni da quando l’hashtag #Gamergate, nato nelle fogne digitali di 4chan e Reddit, è diventato il vessillo di una campagna d’odio coordinata, brutale e profondamente misogina. Molti, all’epoca, faticavano a capire perché il mondo dovesse preoccuparsi. Dopotutto, era “solo” una questione di videogiochi, no? Una campagna nata, apparentemente, per protestare contro presunte falle etiche nel giornalismo di settore. Che importava se donne, minoranze e voci progressiste nell’industria vivevano improvvisamente nella paura? Che importava se chi parlava in loro difesa veniva rapidamente messo a tacere da ondate estenuanti di abusi online? I sostenitori, ci veniva detto, si sentivano ignorati, volevano un cambiamento sistemico. Suona familiare, vero? Se state scoprendo solo ora il mondo degli uomini arrabbiati e anonimi online che si mascherano da vittime, benvenuti. Alcune di noi sono qui da un pezzo.

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Noi, donne che lavoravamo e vivevamo i videogiochi, sentivamo da tempo il terreno tremare. Il panorama stava cambiando: giochi indie, mobile e casual sfidavano il dominio dei blockbuster AAA; nuove voci critiche interrogavano il medium. L’identità monolitica del “gamer” – maschio, bianco, etero – si sentiva assediata da un pubblico più vasto e diversificato. Gamergate fu la reazione violenta a questo cambiamento. La maschera dell'”etica” fu solo un pretesto grottesco per un attacco reazionario contro femminismo, diversità e progressismo. Oggi, dieci anni dopo, dobbiamo chiederci non solo cosa abbiamo imparato, ma quanto profondamente abbiamo interiorizzato quella lezione.

How Zoe Quinn Took On the Online Trolls Trying to Destroy Her
Zoe Quinn

La Farsa dell’Etica: Quando un Dramma Privato Diventa Arma di Massa

La miccia fu il “The Zoe Post”, lo sfogo online di un ex partner contro la sviluppatrice Zoë Quinn, pieno di accuse infondate su presunti favori sessuali scambiati con un giornalista per recensioni positive. Accuse mai provate, come ricostruito da diverse fonti, ma la verità era irrilevante. Quel post privato fu il pretesto perfetto per chi già nutriva ostilità verso Quinn e altre figure come Anita Sarkeesian.

L’ipocrisia era sfacciata. Mentre si invocava l’etica, si usavano le tattiche più abiette. Perché concentrarsi su una sviluppatrice indipendente invece che su casi documentati di conflitti d’interesse? Perché l’ostilità si riversò così tanto su Quinn? L’obiettivo non era riformare il giornalismo, ma punire le donne visibili. I presunti “risultati” del movimento sull’etica (lol) furono minimi: alcune testate chiarirono policy preesistenti, altre aggiunsero piccole note su Patreon o Kickstarter. Divenne presto chiaro che Gamergate era un caos – una missione indefinita per “Rendere i Videogiochi Grandi Di Nuovo” (Make Video Games Great Again) con mezzi mai decisi.

L’Arsenale dell’Odio: Doxing, Minacce, Swatting e la Sistematicità della Violenza

Il cuore nero di Gamergate fu la campagna di molestie sistematiche, coordinate via 4chan, 8chan, Reddit. Le tattiche erano brutali:

  • Doxing: Indirizzi, numeri di telefono, dati sensibili di Zoë Quinn, Anita Sarkeesian e Brianna Wu (una delle principali figure prese di mira all’epoca) furono pubblicati online.
  • Minacce di Morte e Stupro: Un flusso incessante, spesso graficamente dettagliato. Sarkeesian ricevette minacce di un massacro “stile Montreal”.
  • Hacking: Account violati, foto intime diffuse.
  • Swatting: False chiamate alla polizia per provocare raid armati, tattiche pericolose la cui difficoltà nel perseguire legalmente è stata sottolineata (ad esempio qui).
  • Pressione sugli Inserzionisti: Campagne per colpire economicamente testate critiche.
  • Diffamazione: Teorie cospirative, meme denigratori.

Altre figure note furono colpite, come l’attrice Felicia Day e l’influente scrittrice tech Leigh Alexander, il cui provocatorio articolo sulla tirannia della “cultura gamer” lanciò moniti che risuonano ancora oggi: “Quando rifiuti di creare o curare una cultura nei tuoi spazi, sei responsabile di ciò che prolifera nel vuoto”.

L’impatto fu devastante: PTSD, fuga dalle proprie case, carriere danneggiate. Questa non era critica, era un meccanismo di disciplinamento collettivo. L’insistenza sulle minacce di stupro era un’arma specificamente gendered per umiliare e terrorizzare.

What GamerGate Can Teach Journalists About Handling Twitter Storms - Nieman Reports
Anita Sarkeesian

Sotto la Maschera: Anti-Femminismo, Guerra Culturale e l’Ombra dell’Alt-Right

Gamergate fu la manifestazione di una profonda ansia maschile riguardo alla perdita di status. L’identità “gamer” tradizionale si sentiva minacciata dall’inclusività. L’arrivo di giochi diversi o della critica femminista era visto come un’invasione “politica”. L’anti-femminismo era il motore. Il linguaggio attingeva alla “manosfera” (qui un’analisi accademica del fenomeno) e agli incel.

Le somiglianze tra Gamergate e il movimento online di estrema destra, l'”alt-right”, sono enormi e non casuali. La guerra culturale iniziata nei videogiochi trovò presto rappresentanza politica. Steve Bannon, co-fondatore di Breitbart News, ebbe un ruolo nel creare il “mostro mediatico” Milo Yiannopoulos, che costruì la sua fama supportando Gamergate. Breitbart colse l’opportunità per sfruttare l’ignoranza e la rabbia preesistenti tra giovani uomini bianchi disaffezionati. Gamergate fu il “canarino nella miniera di carbone”, e lo ignorammo.

Molti sostenitori di Gamergate svilupparono una serie di dispositivi retorici perniciosi per distanziarsi dagli abusi: le vittime mentivano o esageravano, erano troppo sensibili; si formò un linguaggio di scherno e sminuimento (safe space, snowflake, unicorn, cry bully). Anche quando l’abuso era provato, la risposta tipica era il “whataboutism”. Queste tecniche, forgiate in Gamergate, sono diventate il set di strumenti standard delle voci di estrema destra online.

Molti dei volti noti di Gamergate – personaggi come Mike Cernovich, Adam Baldwin e Yiannopoulos – trassero potere dal caos, generalizzando la retorica: divenne una guerra più ampia tra “Social Justice Warriors” (SJW) e la “gente normale”. I giochi erano solo la punta dell’iceberg; i valori progressisti, secondo loro, stavano distruggendo tutto. Le stesse voci si spostarono in altre comunità geek: nei fumetti, nella fantascienza, nel cinema. Nella loro mentalità a somma zero, la crescente uguaglianza artistica era una minaccia.

Per molto tempo, non prendemmo sul serio questi personaggi. Yiannopoulos sembrava un opportunista così disperato che non ne prevedemmo l’ascesa. Ma il suo sputare idee odiose trovò un pubblico su Twitter sensibile alle sue invettive anti-femministe e anti-establishment. Letteralmente un antesignano del neo nazi trumpiano Nick Fuentes.

Milo Yiannopoulos: Who is the alt-right writer and provocateur? - BBC News
Milo Yiannopoulos

Paradossalmente, Gamergate sembrava rappresentare molti ideali di sinistra: lotta alla corruzione nella stampa, spinte per pratiche etiche migliori. Ci sono somiglianze con chi supportò Trump per le sue promesse di “prosciugare la palude”. Molti sostenitori di sinistra di Gamergate cercarono di intellettualizzare la loro posizione, adottando etichette come libertari, egualitari, umanisti. Nel migliore dei casi, facilitarono inconsapevolmente l’abuso. Discussioni genuine furono paralizzate da voci ossessionate da fallacie retoriche.

L’Eredità Tossica: Polarizzazione, Normalizzazione dell’Abuso e i Fantasmi del Futuro

Gli effetti di Gamergate si sentono ancora oggi. Ha prodotto un chilling effect. Ha allontanato talenti. Allo stesso tempo, ha galvanizzato una contro-reazione verso giochi più inclusivi e “values-conscious”, un fenomeno analizzato da alcuni studi (come questo della University of Portsmouth), che hanno trovato successo.

Ma l’eredità più oscura è la normalizzazione delle tattiche di molestia online. Il manuale dell’odio digitale è diventato standard. E il fantasma di Gamergate aleggia ancora. Fenomeni etichettati come “Gamergate 2.0” (un termine discusso da esperti e media) dimostrano la resilienza di queste narrazioni tossiche. Gamergate ha creato una fazione della cultura gamer ostile alla diversità e ha lasciato una scia di polarizzazione reattiva.

La reazione dei media nel 2014 fu spesso debole o conciliante. Alcuni si sforzarono di “vedere entrambe le parti”. Ma è lo stesso linguaggio usato da Trump per obliterare le voci dissenzienti. La bellezza del punto di vista anti-establishment è che ogni critica mainstream viene usata come prova che i giornalisti sono inaffidabili. La realtà “post-truth” non è un incidente, è un assalto concertato alla psiche razionale.

Anche il confronto con scandali interni come Blizzardgate (che ha coinvolto Activision Blizzard in una lunga causa) è illuminante. Mentre Gamergate era odio esterno, Blizzardgate ha svelato il marcio interno: cultura “da confraternita”, molestie, discriminazione, HR inefficace. Entrambi mostrano la vulnerabilità delle donne nell’ecosistema videoludico e come la misoginia sia un problema strutturale.

Un tragico epilogo che illustra la persistenza di queste dinamiche tossiche ha coinvolto nuovamente Zoë Quinn anni dopo l’esplosione di Gamergate. Nell’agosto 2019, Quinn accusò pubblicamente lo sviluppatore Alec Holowka, suo ex partner e co-creatore del celebre gioco Night in the Woods, di abusi fisici ed emotivi. Le accuse furono prese sul serio dal resto del team di sviluppo, che interruppe i rapporti professionali con Holowka (come riportato da GamesIndustry.biz). Pochi giorni dopo, Holowka morì suicida. Sua sorella rivelò che Alec aveva lottato per tutta la vita con disturbi dell’umore e della personalità, era stato a sua volta vittima di abusi e stava cercando aiuto. Nonostante questa complessa e dolorosa realtà, l’evento fu immediatamente strumentalizzato. Quinn divenne bersaglio di una nuova, “implacabile” e squisitamente ipocrita ondata di molestie e minacce (come notato dall’ADL), accusata direttamente della morte di Holowka. Nonostante il dev fosse noto per le sue tendenze suicide e per essere un incubo per amici e colleghi che comunque provavano a stargli vicino. Questa narrazione, che ignorava deliberatamente la storia di abusi subiti da Quinn e i noti problemi di salute mentale di Holowka, dimostra come le tattiche diffamatorie e colpevolizzanti rese celebri da Gamergate continuino ad essere utilizzate per silenziare e punire le donne che denunciano abusi, anche di fronte alla tragedia.

Archives des alec holowka - N-Gamz.comN-Gamz.com
Alec Holowka e la Quinn

E questa velenosa eredità continua a manifestarsi in forme sempre nuove, dimostrando quanto sia radicata la resistenza a qualsiasi forma di progresso o inclusività. Più recentemente, abbiamo assistito a un’altra controversia che riecheggia sinistramente le tattiche del passato, questa volta attorno ad Avowed, l’atteso RPG di Obsidian Entertainment. Elementi come l’inclusione di opzioni per i pronomi nel creatore del personaggio e specifiche scelte di design hanno scatenato il solito coro di critiche online, che ha coinvolto anche Elon Musk. L’Art Director del gioco, Matt Hansen, è diventato un bersaglio specifico dopo aver risposto pubblicamente a queste critiche, alimentando ulteriormente la polemica. Alcuni grifter si sono inventati whistleblower inesistenti e clima tossico in Obsidian ma il massimo che hanno saputo produrre sono sei o sette screen di una chat interna su Slack in cui parte del team parlava moderatamente male di Elon Musk e Mark Kern (come farebbe qualunque persona decente sulla faccia della terra, diciamocelo). Hensen è addirittura stato accusato di razzismo per un vecchio tweet in cui diceva di voler dare una mano ai dev appartenenti a minoranze perché l’industry in quel periodo era troppo prevalentemente bianca (fatto statisticamente più che accurato, tra l’altro) mentre la director Carrie Patel è stata definita una DEI hire solo in quanto donna, una che lavora in Obsidian dai tempi di Deadfire. Ma al di là dei dettagli specifici, lo schema è tristemente familiare: elementi legati all’inclusività vengono presi di mira, sviluppatori che difendono le loro scelte vengono attaccati, e la conversazione viene rapidamente avvelenata da quella stessa retorica aggressiva e reazionaria che abbiamo visto all’opera dieci anni fa.

Avowed' Art Director Matt Hansen Admits To Wanting To Make Elon Musk "Mad" And Hints Game Is Ultra Woke
Matt Hansen

Un altro esempio lampante di questa tendenza è la campagna di molestie diretta contro Sweet Baby Inc., uno studio di consulenza narrativa con sede a Montreal che lavora per promuovere la diversità e l’inclusione nei videogiochi. A partire dalla fine del 2023 e intensificatasi nel 2024, l’azienda è diventata il bersaglio di attacchi coordinati online. È stata accusata, senza fondamento, di imporre segretamente un’agenda “woke” e di rovinare i giochi su cui forniva consulenza. Un gruppo di curatori su Steam è stato creato appositamente per etichettare i giochi associati a Sweet Baby Inc., invitando i giocatori a boicottarli. I dipendenti dell’azienda hanno subito molestie e tentativi di doxing, e la controversia è stata amplificata da figure di alto profilo sui social media. Molti osservatori hanno immediatamente riconosciuto in questa campagna le stesse dinamiche e la stessa retorica di Gamergate, definendola un chiaro esempio di “Gamergate 2.0” e un preoccupante segnale della persistenza di queste forme di attacco organizzato. Anche in questo caso la narrazione ufficiale era che SBI aveva pratiche poco trasparenti, non fosse che poco dopo il curator ha cambiato nome in DEIdeteced. Dimostrando – come se ce ne fosse bisogno – che erano la razza dei personaggi nei giochi a creare problemi, non l’etica dei consulenti (nel gruppo hanno già sconsigliato State of Decay 3, molto lontano dal rilascio, solo perché nel trailer c’è una donna di colore come protagonista).

Guardando indietro, Gamergate aveva senso solo come esempio di ciò che Umberto Eco chiamò “fascismo eterno”: un estremismo che esalta valori tradizionali, si scaglia contro diversità e critica culturale, diffida di intellettuali ed esperti – un fascismo costruito su frustrazione e machismo. Il requisito è rimanere in uno stato di conflitto infinito contro un nemico ritratto come fortissimo e dipingersi come eroi resistenti assediati. Questa era la metodologia di Gamergate, e ora forma la base del movimento contemporaneo di estrema destra. Qui in Italia lo sappiamo bene. Giorgiona nazionale parla di complotto contro di lei ad ogni minima critica. Quel mentecatto di Lollobrigida parlo di “nemico in casa” per definire Ranucci, uno che fa solo il suo lavoro.

La Lezione Che Non Possiamo Permetterci di Dimenticare

Gamergate non fu un litigio online. Fu una campagna d’odio coordinata e misogina, mascherata da un dibattito fasullo. Fu alimentata da un’ideologia reazionaria. Le sue tattiche erano sistematiche e violente, la sua eredità una ferita ancora aperta. Ha svelato la facilità con cui l’odio può dirottare il discorso pubblico online.

Dieci anni dopo, l’odio non è scomparso. Si è evoluto. Ignorarlo, minimizzarlo o cadere nei suoi falsi pretesti significa tradire le vittime passate e rendere quelle future più vulnerabili. Forse la vera lezione è che i media sono culturalmente impreparati ad affrontare queste forze. La situazione era orribile allora, è molto più pericolosa ora. La lotta per un’industria e una cultura videoludica più sicure, eque e veramente inclusive è tutt’altro che conclusa. È una battaglia quotidiana da combattere con memoria, lucidità e coraggio.

 

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