DeathSprint 66 si ispira palesemente a “The Running Man” di Stephen King e al film anni ’80 con Arnold Schwarzenegger. Lo stile visivo, saturo di neon, rimanda all’atmosfera del romanzo, scritto da King con lo pseudonimo di Richard Bachmann: benvenuti in un futuro dove si corre tra trappole mortali per denaro, mentre la folla impazzisce.
Questo aspetto mi ha subito conquistato, ma il gioco è persino migliore. Ho sempre amato le mod di tipo “surfing”, presenti in molti giochi ma per me inscindibili da Counter-Strike, e DeathSprint 66 è essenzialmente “Surfing Mods: The Game”. Queste mappe, che inizialmente erano sfide di movimento, richiedono di percorrere un tracciato da A a B nel modo più rapido ed elegante possibile. Questo è il cuore di DeathSprint 66, ma con laser mortali, metallo tagliente e una corsa contro altri giocatori.
DeathSprint 66 offre percorsi PvE, ottimi per imparare le meccaniche, perché è un gioco veloce e difficile. Dopo mezz’ora si muore decine di volte, si falliscono innumerevoli percorsi, e ci si abitua all’idea di un nuovo clone lanciato in pista. I creatori dei percorsi sono sadici che hanno avuto carta bianca; bisogna attraversare laser, curve a forcella e cambi di quota improvvisi senza toccare nulla. Si fallisce ripetutamente, e non mi sorprenderei se alla Sumo Newcastle monitorassero le umiliazioni dei giocatori.
Il gioco ama uccidere, ma anche far uccidere. Il cuore di DeathSprint 66 è la modalità PvP, dove fino a otto giocatori corrono e cercano di ostacolarsi a vicenda. Non servono armi, tanto è il caos di otto giocatori che si spingono e finiscono in trita-carne, ma ci sono comunque.
Guardate quel ragazzino che scappa primo! Veloce? Non quanto la sega circolare gigante che gli ha appena tagliato in due il fondoschiena. O la carica che lo insegue e lo fa saltare in aria. C’è un’arma che posiziona una trappola laser statica istantaneamente letale e, se piazzata vicino ai potenziatori della velocità, è difficile da individuare. Le notifiche di morte sono magnifiche.
Il fascino di DeathSprint 66 risiede nella precisione, nelle linee pulite, nel controllo preciso e nell’euforia di un giro perfetto. Ma ciò che rende il gioco speciale è il caos totale di otto giocatori che cercano di fare lo stesso. È un miracolo se non ci sono vittime alla prima curva e, quando il gruppo si stringe e nessuno riesce a scappare, il branco si autodistrugge in un bagno di sangue. Ci sono gare multiplayer eleganti, certo, ma la maggior parte finiscono in una miscela tra Fall Guys e Mortal Kombat.
A volte si resta impressionati da se stessi in DeathSprint 66. Una curva stretta si apre su una macinazione, si prende la traiettoria verso un muro, si salta in pochi secondi e si esegue una piroetta prima di schiantarsi contro una trappola laser, si atterra nell’orientamento perfetto e si accelera istantaneamente. Altre volte si barcolla come un ubriaco iperveloce e si viene fatti a pezzi da cose impreviste. Da questo contrasto nasce la magia di DeathSprint 66: il senso di potenza, precisione, controllo, e poi, inevitabilmente, l’esplosione in mille pezzi. Pronti a riprovare?
Sarò Bach, amico!
Una versione di questo articolo è già apparsa su www.pcgamer.com
Absolutegamer è un gruppo di nerd vecchia scuola, progressisti, appassionati di gaming, meglio se indie, saltuariamente retro ma senza essere snob verso l’ultima versione di Unreal Engine, con un atteggiamento no bullshit e con una certa predisposizione all’attivismo. Hanno generalmente un umorismo discutibile ma se volevano piacere a tutti nascevano patate fritte.
They/Them (ovviamente, geni)